mercoledì 24 ottobre 2018

Pole Pole 243







                   Cap. VIII    Wamba, tra i Samburu


Sul pavimento di terra battuta trovavano posto poche cose, fra cui una tanica di acqua e alcune stoviglie rudimentali, in cui le donne cuocevano legumi e patate (disponibili solo quando la pioggia ha reso possibile il raccolto), e le più fortunate, carne di capra dura come il cuoio, di cui si cibavano bevendo tè e sangue di animale misto a latte, tipica bevanda dei Samburu.

Andrea Moiraghi

venerdì 19 ottobre 2018

Pole Pole 242

                       Cap. VIII    Wamba, tra i Samburu

Ricordo che Sister Giovanna Pia ci accompagnò a far  visita al villaggio di Wamba: una serie di miseri negozietti e un paio di bar, in legno e terra compressa, lungo un unico grande stradone e attorno le capanne Samburu, le cosiddette “manyatte”. Erano basse costruzioni con una sola apertura all’ esterno e tetto quasi piatto, fatte di arbusti, sterco e fango ed erano circondate da rami spinosi, a difesa degli animali, piuttosto feroci da quelle parti. L’ interno, dove a malapena si stava in piedi, era buio e aveva al centro lo spazio per il fuoco, spesso causa di incendi e gravissime ustioni per gli occupanti, un rudimentale tavolo di legno e due o tre giacigli con sopra la paglia.
Andrea Moiraghi 

mercoledì 10 ottobre 2018

Pole Pole 241





               Cap. VIII    Wamba, tra i Samburu


Creature sfortunate che avevano trovato in quelle Suore i loro angeli custodi, potendo così trascorrere i loro giorni nella dignità di lenzuola pulite, pasti caldi, farmaci appropriati e carezze amorevoli. Molti di loro erano resi inconsapevoli dalla malattia, incapaci di parlare e di muoversi in maniera efficace, ma credo che nessuno di loro fosse insensibile all’amore che veniva loro trasmesso e nel quale erano immersi: un nuovo grembo li accoglieva e rendeva loro accettabile l’esistere.

Andrea Moiraghi

venerdì 5 ottobre 2018

Pole Pole 240


                         Cap. VIII    Wamba, tra i Samburu


Volti tristi e severi di chi andava dalle suore non solo per le medicine, ma anche per avere cibo per sé e i propri figli. Nel nord del Kenya il clima è molto caldo, la terra è arida, perché le precipitazioni sono scarsissime e la popolazione spesso è stremata dalla fame e dalla sete. Sono sguardi che non ho dimenticato, pur avendoli osservati brevemente, con il pudore che la sofferenza di una madre e di un bambino richiedono.Ho stretto molte mani (per tanti di loro stringere la mano a un bianco, il “muzungu”, come lo chiamano, è un nore), ho fatto molti sorrisi e mi sono commossa fino alle lacrime quando abbiamo visitato una dependance  dell’ospedale, dove una piccola comunità di Suore indiane dedica la vita a un gruppo di bambini e ragazzi gravemente handicappati, che diversamente sarebbero abbandonati a loro stessi ed avrebbero una ben più infelice sorte. 

Andrea Moiraghi