venerdì 29 ottobre 2021

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          Cap. XI    La mia casa è lo “slum”

              Mi pareva impossibile che nessuno facesse nulla per questa gente e allora non mi passava neppure per la testa che, grazie soprattutto all’ amico odontotecnico Roberto Bassano di San Mauro Torinese e allo stesso Padre Masino, poco tempo dopo l’ APA avrebbe allestito un ambulatorio dentistico nel dispensario di Kahawa, a fianco dello slum di Soweto, come è raccontato nel quinto capitolo di questo libro.

Andrea Moiraghi

martedì 19 ottobre 2021

POLE POLE 395

 


                  Cap. XI    La mia casa è lo “slum”


E così la maggior parte della gente viveva (e oggi la situazione non è cambiata, anzi è peggiorata) attanagliata dalla fame e dalla criminalità, in condizioni igieniche spaventose e con l’ incubo quotidiano dell’ Aids, mentre il governo kenyano e il resto del mondo stavano a guardare, come se a loro andasse bene così. In fin dei conti il Kenya benestante vive e prospera grazie alla manodopera a basso prezzo reclutata negli slum, dove l’ erogazione di servizi pubblici (acqua, luce, strade, assistenza medica…) per lo Stato non ha costi, perché semplicemente non esiste. Si potrebbe dire che le baraccopoli siano ormai una parte integrante dello sviluppo di questa nazione, perfettamente inserite nei suoi cicli produttivi e ottimamente funzionali alla sua economia.

Andrea Moiraghi

giovedì 14 ottobre 2021

Pole Pole 340





 

                    Cap. XI    La mia casa è lo “slum”

             Tutto mi sembrava irreale, disumano, inaccettabile. Con desolazione percepivo come la sofferenza di queste persone, vissuta senza rabbia e apparentemente accettata (non so spiegarmi se per dignità o ineluttabilità), fosse connaturata con la loro stessa esistenza e un senso di impotenza mi coglieva. “Non si faccia elemosina agli Africani, ma si insegni loro a pescare, invece di donar loro il pesce”, mi era stato detto, ma qui non c’ erano né acqua né pesci.

Andrea Moiraghi 

venerdì 8 ottobre 2021

Pole Pole 393

 


                       Cap. XI    La mia casa è lo “slum”


I più fortunati hanno un lavoro più o meno stabile in città, così possono portare a casa mille, duemila scellini a settimana (15-30 Euro), dei quali un terzo o più se ne va per l’ affitto di queste catapecchie, proprietà di riccastri che spesso ne fanno oggetto di speculazione, senza alcun scrupolo. Chi lavoro non ce l’ ha, e sono tanti, o non ha molta voglia di lavorare, vive di furti e sulla prostituzione di madri, figli, sorelle o “amiche”, non raramente ragazze appena adolescenti: già escluse dalla scuola, queste giovani vivono in balia di sfruttamento e violenze sessuali, bruciando così tutte le loro prospettive. Facile capire perché l’ Aids possa dilagare a macchia d’ olio, tanto che metà della gente qui intorno è sieropositiva e i morti da un po’ di anni non si contano più ”.


Andrea Moiraghi

venerdì 1 ottobre 2021

Pole Pole 392




  

                    Cap. XI    La mia casa è lo “slum”


Occhi furtivi di adulti, quasi solo donne, ci scrutavano al nostro passaggio e nonostante la compagnia delle nostre accompagnatrici, avevo la sensazione di una tranquillità ingannevole

             “Di cosa vivono queste persone?” mi venne spontaneo chiedere alle due maestre.

             “Di lavori più disparati: piccoli commerci più o meno leciti, vendita di generi alimentari, carpenteria. Certuni si ingegnano in lavoretti manuali (sartoria, calzoleria, falegnameria, minuteria meccanica…), altri recuperano materiale dalla discarica, che poi cercano di vendere; qualcuno si arrabatta producendo e vendendo distillati alcolici dagli ingredienti incerti e pericolosi (le cosiddette grappe e birre dei poveri).

Andrea Moiraghi